La vera storia di Manolo

 

 

 

 

Mi chiamo Manuel Manolo Merino.

Sono nato in Spagna il 27 luglio del 1944, in un paese piccolissimo e tanto povero, al centro dell’Andalusia. All’età di 9 anni per poter guadagnare qualcosa in più, ho tentato di fare il torero principiante clandestino. Stare davanti a un “torillo becerro” un giovane toro di 6/8 mesi di vita è spaventoso, molto rischioso; figurarsi un toro adulto di 4/6 anni. Durante gli allenamenti sono rimasto ferito alle parti basse, le parti intime diciamo; per fortuna non gravemente, ma la carriera del torero Manolito è finita lì.

Decido di fuggire dalla casa dei miei genitori, senza un soldo, ma con tanta voglia di lottare per avere un futuro migliore. Avevo 12 anni. In fuga, in cerca di qualunque cosa, senza neanche una peseta (senza una lira), viaggiando in treno, nascosto nei bagni, da una stazione all’altra. Comincia la fame. Come fare per mangiare? Vengo a sapere che a Porcuna, un altro piccolo paese, sempre in Andalusia, cercavano persone nella lavorazione delle mattonelle. A cottimo, tanto al metro.

Riesco ad arrivare a Torredonjimeno, distante da Porcuna circa 7/8 kilometri.

Ho fatto questo tragitto a piedi, di notte. Non c’erano mezzi di trasporto e avevo fame; e la sete spingeva più che la notte. Non c’era altro da mangiare che i finocchi selvatici, cresciuti nei campi, pieni di terra e l’acqua nelle foglie delle piante per bere. Quella notte mi ha segnato tanto la vita, ma anche i giorni precedenti e i giorni successivi. Arrivato al paesino di Porcuna, finalmente trovo il lavoro, dopo 2 giorni di calvario. Il lavoro era fare le mattonelle; con le mani. Le dita delle mani venivano spolpate dal cemento. Per poterle proteggere un po’, si andava nei campi a prendere le “giande”. Si prendevano le “giande” più grosse, a misura delle dita della mano. Sventrata la gianda, di cui si mangiava la polpa, il guscio veniva infilato nelle dita della mano sia destra che sinistra, per proteggerle per un po’ dallo spappolamento delle dita. A quei tempi, i guanti erano un sogno! Questa fu la mia prima avventura!

Dato che ero scappato, fuggito di casa senza dire niente, i miei genitori erano molto preoccupati. Mi ero allontanato di circa 100 km. Mio papà faceva il conducente di camion. Trasportava dal sud olio al nord e dal nord cemento al sud. Dopo 5/6 mesi di ricerche, viene a sapere da un camionista che mi trovo a Porcuna e che faccio mattonelle. Mi ero già fatto notare al paese e nei dintorni, perché così giovane facevo tante ore di lavoro, per poter guadagnare di più. Così mio padre viene a trovarmi. Quando lo vedo cammina verso di me e chiede a voce alta: “Donde està el nino, famoso fabricante de ladrillos (Dov’è il bambino, famoso costruttore di mattonelle?”.

Mi ricordo bene questo uomo, mio padre.

E’ arrivato alla fabbrica dove lavoravo con un camion molto rumoroso, simile a un trattore.

La vita mi ha segnato un’altra volta, perché è stato bello e brutto vedere mio padre quasi piangere a vedere suo figlio, dopo averlo tanto cercato. Ho detto che mi ha segnato la vita perché mi ricordo ancora il forte abbraccio che mio padre mi ha dato dicendomi: “Manolo perché sei andato via di casa senza dire niente almeno a tua madre? Potevi dire dove andavi”. E’ stato una gioia immensa. Mi abbracciò così forte che anche oggi alla mia età, lo ricordo sempre e mi mancano tanto i miei genitori e miei fratelli (due) e mia sorella. Nonostante tutto, mi volevano bene.

Da Porcuna mi sono trasferito a Cordova in una fabbrica più grande dove sono rimasto per circa un anno, sempre facendo mattonelle a cottimo. Qui ho racimolato un bel gruzzoletto. Ho dato a “mi papà” per aiutarlo a comprare un piccolo appartamento. Un buco, ma bello, molto bello per quei tempi. All’età di 13 anni sono tornato a vivere con i miei genitori e fratelli a Baeza, con qualche soldo in tasca. Pochi!

Finalmente in accordo e in pace con i genitori e con me stesso, decido di andare a Bilbao dalla parte opposta della Andalusia al Norte de Espagna, dove avevo degli zii da parte de mia madre Carmen. Arrivo a Bilbao verso il 1957, da questi miei zii poveri ma umili. C’è poco da fare, vedo di nuovo che incombe la miseria. Di nuovo giro giro e finalmente trovo lavoro, sempre con le mattonelle a cottimo. Incomincio a lavorare e viene fuori che la paga qui è molto di meno che in Andalusia. Che fare? Ero convinto che al  nord si sarebbe guadagnato molto di più che al sud. Sono rimasto lì per 8\10 mesi. Il futuro non lo vedevo bello, per niente. Mi succede che passando per una grande piazza di Bilbao, durante uno spostamento di lavoro, assisto all’arrivo del Circo Price Hall. In questo circo si esibiva un cantante spagnolo Antonio Molina, conosciuto come Claudio Villa in Italia. Così decido di andare a vedere.

Vado a casa degli zii, mi cambio i vestiti, mi metto addosso il più bello che avevo. I miei zii mi chiedono dove vado.

“Zio, vado a vedere il circo!”.

“Fai presto a tornare!”, mi dicono,

“non farci stare in pensiero, mi raccomando sei ancora piccolo!”.

“Va bene zio!”.

Arrivo al circo felice tanto per essere libero alla mia età. Ero libero nella mia mente.

Per questa sera andavo a vedere un famoso cantante spagnolo. E poi il circo!!! Le ballerine!!! Ero giovane e già avevo un debole per le ragazze. Cosa che era malvista dai miei genitori, molto cattolici che vedevano il peccato dappertutto. I miei sensi erano alle stelle, dentro quel circo. Fra animali, pagliacci, giocolieri, trapezisti e tanta gente. Colori, odori, musica.

C’è l’intervallo, esco per prendere una bibita al bar-rinfresco del circo. Presa la bibita, il mio sguardo va a finire su un cartello appoggiato sopra una vecchia sedia, vicino a questa roulotte che faceva da bar.

C’era scritto:

“Se necessita Barman! (Cercasi Barista)”.

Gli ho subito chiesto al titolare se mi prendeva a lavorare, ma c’è un problema, non ho mai fatto un caffè o un cuba libre o altro. Il proprietario mi dice:

“Spero che impari presto, ti do da mangiare e da dormire, niente paga, per le mance che farai sono per te e se parte stanotte stesso verso 4\5 del mattino. Ora sono le 23,30 se sei pronto fra un po’ si parte”.

Non ho finito di vedere lo spettacolo! Di corsa a la casa degli zii, che era lontana circa 3\4 km.

Qui incomincia la nuova avventura.

Dico a mio zio che vado a lavorare al circo.

Mio zio:

“Manolo esta loco, sei matto è l’una di notte, non ti posso lasciare andare, ma dove vuoi andare?”.

Mezz’ora per convincere e parto.

Parto con una valigia di cartone, con due stracci dentro. Arrivo al circo con il cuore in gola. Avevo camminato quasi di corsa per 3/4 kilometri, per le strade di Bilbao, che non conoscevo tanto bene, al buio. Mi ero anche scordato di mangiare e di bere per l’emozione. Ma non mi pesava tanta era la voglia di partire col circo! Anche senza stipendio, ma andavo a lavorare al circo!

Già facevo i conti delle mance che avrei preso e pensavo:

“Non ho fatto il torero, farò l’artista del circo!”.

Arrivo all’appuntamento con tanta confusione nella testa! La partenza era già cominciata!

“Manolo andiamo!”,

mi dice il mio nuovo jefe (capo)

“Sono le 4,30, si parte!”.

Butto la “maleta” (valigia di cartone) dietro una macchina che mi sembrava un aereo! Era una Hasson degli anni 30, nera lucida, impressionante e rumorosa tanto, ma bella con dietro attaccata la roulotte del bar-ristoro del circo. Direzione Barcellona!

Arrivati a Barcellona rimango sbalordito! Per me andaluso e per di più tanto giovane era come un sogno. Ero lì e per di più con il famoso cantante Antonio Molina!

Siamo arrivati verso mezzogiorno! In un grande piazzale tanti mezzi, carovane, camion, trattori, gru, operai, artisti, animali, tanta gioventù. Si parte per fare una sfilata per le vie di Barcellona! La prima per me che poi ne ho fatte tante altre.

“E’ ARRIVATO IL CIRCO SIGNORE E SIGNORI!!!”

E’ stato stupendo vedere tanti colori, artisti, giocolieri, sonnambuli, fachiri, serpenti, coccodrilli, elefanti, scimmie, pappagalli, gatti, cani e tante belle signorine, ragazze e ragazzi come me giovani e tanto belli; almeno io li ricordo così.

Finita la sfilata, ritorniamo nel piazzale, per iniziare lo spettacolo alle ore 21,00.

Così mi ritrovo dietro a questo banco a fare caffè, bibite, panini, birre, aperitivi. Mi faceva molto effetto, pensare dove ero alla mia età, sognando di fare l’artista! E’ stato grande, stupendo, grandioso!

“Bravo Manolo!” ho detto dentro di me. “E’ la volta buona che farai successo!”.

Di qui parto come un razzo con il vassoio pieno di bibite fresche da vendere. Giro continuamente intorno alle carovane degli artisti del circo e chiedo con molta educazione a tutti: “Volete qualcosa di fresco? Eccomi qui!”. “Quiere tomar algo de fresco signor Antonio, signora Anita? Tutto fresco, sono a vostra disposizione, grazie mille!”. Così ho fatto tutta una stagione, circa un anno girando per tutta la Spagna e mi sono fatto volere bene da tutti gli artisti del circo. Ero sempre a girare dentro le carovane, dal mattino alla sera. Conoscevo tutti e guardavo tutti gli spettacoli serali.

Ero molto affascinato dal trapezio volante, così mi viene in mente di fare il trapezista e dentro di me dico come farò per farlo. Dato che avevo provato a fare il torero e non ci ero riuscito, avrei provato con il trapezio.

Paura di andare in alto non ne avevo.

Prendo la decisione  e incomincio ad andare più spesso nella carovana dei trapezisti con tante bibite fresche a parlare con loro. Si chiamavano Mario, Marcello, Rafael e Marcella. Parla oggi parla domani, un giorno mi dicono: “Manolo ma tu cosa vuoi?”, e io “Mario”, che era il capo “voglio fare il trapezista!”. “Guarda che non è facile!”, “però voglio farlo anche se è difficile!”.

“Manolo noi finiamo questa stagione in questo circo; finito qui andiamo a casa nostra a Lèon, per provare nuovi numeri per il prossimo anno. Te intanto ti devi allenare. Tante flessioni, tanto fiato, tanto salire le scale e scendere, saltare e se abbiamo bisogno di te ti scrivo e vedremo se sei buono a farlo!”.

Finisco la mia stagione anche io come fattorino dove lavoravo dalla mattina alla notte in mezzo alle carovane, come uno struzzo. Camminavo e camminavo e mi ero già irrobustito, ma non abbastanza. Così ritorno a casa dei miei genitori a Baeza in provincia di Cordoba.

I miei genitori e i miei fratelli erano tutti contenti. Ero ritornato dopo un anno e ero riuscito a portare a casa un piccolo malloppo. Ho sudato a fare il barista, però le mance che ho ricevuto sono state molte di più di quello che mi aspettavo. Ho guadagnato il doppio che a lavorare con le mattonelle. Non essendo sicuro di riuscire a fare il trapezista quando sono ritornato a casa, ho iniziato di nuovo a fare i mattoni. Nello stesso tempo mi allenavo. Saltavo la corda, tante scale su e giù e tante flessioni per terra, sui muri, sulle piante.

Non ero ben visto; mi vedevano come un pazzo.

Io non ho mollato, anzi ne facevo di più.

Stavo quasi perdendo la speranza di avere notizie di questi miei amici trapezisti, quando finalmente arriva una lettera da Lèon: “Caro Manuel vieni qui e incominciamo a provare il trapezio. Porta una autorizzazione di tuo padre, visto che sei minorenne, per la nostra tranquillità e la tua!”.

Mio padre non era tanto convinto, ma sono riuscito a convincerlo e anche mia madre e i miei fratelli.

Così parto per una nuova avventura!

Manolo trapezista volante!

Per niente facile!

Sono arrivato a Lèon di nuovo con il cuore in gola per provare il trapezio. Ahi, che fatica madornale salire per la corda o le scalette, afferrare il trapezio per poter volare. Cadere è molto pericoloso. La rete di protezione è larga 16 metri per 6; è a 4 metri di altezza e anche la caduta va calibrata molto bene perché i trapezi sono a un altezza di 12\14 metri.

Ci sono voluti di anni di prove, prove e prove. Ci sono riuscito! Non ero un fuori classe, ma ero abbastanza bravo per fare bene lo spettacolo.

In questi due anni di prove continuavo a lavorare al mattino, sempre nella fabbricazione di mattonelle. Nel pomeriggio trapezio. La domenica non lavoravo e allora mi allenavo tutto il giorno. Alla fine di questo periodo faticosissimo ho dovute sostenere l’esame per ottenere l’idoneità presso un centro polisportivo a Saragozza. Questa commissione mi ha rilasciato un attestato di idoneità per poter fare il trapezista volante nei circhi equestri.

Ce l’ho fatta!

Ora viene il problema di dove andare a lavorare. Spagna, America, Francia?

La troupe si chiamava “Los Hermanos Madonal”; il nostro primo contratto è stato con il grandioso Circo Togni. I fratelli Togni erano all’epoca i più grandi circensi del mondo!

Sono diventato un trapezista in Italia, nel 1963.

Un contratto di un anno con un compenso molto alto. E’ stato un anno meraviglioso!

Ma le cose belle non durano per sempre.

Il contratto con Togni scade e bisogna tornare in Spagna. Tornare in Spagna per me che avevo quasi 20 anni, significava essere prelevato per 24 mesi dal governo spagnolo per il servizio militare. Ero già destinato alla zona del Marocco, nelle isole ——- possedute dalle colonie spagnole di Franco Caudillo de Espagna.

Parlo con Togni, gli spiego la mia situazione e gli chiedo se posso rimanere con loro.

Togni mi dice: “Rimani con noi Manolo, ti faremo continuare a essere un artista del nostro circo! Forse non diventerai famoso, ma sarai un buon artista!”.

Detto, fatto mi fermo con loro e vengo istruito da Oscar Togni per fare il  domatore di orsi. 5 splendidi orsi: Mut, Floqui, Siam, Ilga, Yor. Così Togni mi mette alla prova dentro la gabbia spiegandomi come sono stati ammaestrati gli orsi, come trattarli, i numeri che sapevano fare, che cosa mangiavano. Tutta roba sana: riso, pasta carne, pesce, verdure cotte.

Non si può maltrattare l’animale, perché se no lavora male! Ci vogliono molti anni per ammaestrarli e molti soldi per nutrirli e curarli; se si dovessero ammalare sarebbe una grossa perdita per il circo. Ecco perché gli animali nei circhi vengono trattati molto bene e con passione vera. Così questi bellissimi animali lavorano anche volentieri.

Così ho fatto il trapezista, il domatore di orsi e anche il pagliaccio, il  Pierrot bianco.

Cosi mi sono mantenuto per tanti anni e ho capito tante cose sulla vita del circo equestre.

E’ una vita bella ma anche tanto dura. Bella perché mi sono tanto divertito. Figuratevi che un cassetto nella mia roulotte era interamente occupato da mutandine da donna, che avevo preso a collezionare, dopo ogni piccola avventura che mi capitava. Poi le ho dovuto togliere quando è arrivata Marisa. Dura, perché ci sono delle regole dure da rispettare.

Durante il lavoro nel circo in Italia, arrivo a Sarzana (SP) in piazza Vittorio Veneto.  Ero molto giovane e sempre più attratto dalle ragazze. C’è il serale, così esco da dietro le tende dopo essere stato annunciato dal  presentatore: “Ecco a voi il più giovane domatore di orsi bianchi d’Europa! Manolo!!!” e sembrava che al pubblico piacesse molto il mio modo di lavorare e anche agli altri artisti del circo piaceva, perché vi posso dire che lo facevo con passione. Esco da dietro le quinte per andare dentro al gabbia con tanto di di frusta e forcone vestito da cavallerizzo e noto in prima fila una giovane ragazza (oggi mia sposa da più di 50 anni) e rimango folgorato! “Ah che bella susina!” dico tra me e me.

Quella sera ho lavorato come in trance, il tempo è volato! Appena finito sono corso in camerino per cambiarmi e sono tornato subito alla prima fila per poter salutare quella bellissima ragazza.

Riesco appena a salutarla dato che era in compagnia della madre, dei nipoti, della sorella; ma con i nostri sguardi ci siamo detti qualcosa. Amore? Forse. Voglia tanta di tante cose, che di seguito sono successe e che vi racconterò più avanti.

Da trapezista a domatore a pagliaccio e di nuovo domatore perché avevo già iniziato, sotto la direzione di Togni a fare un nuovo numero con i leoni. 6 piccoli leoncini che avevo cominciato ad addomesticare con un buon risultato per il mio prossimo futuro, se avessi continuato.

Invece ad essere addomesticato sono stato io da una leonessa. La ragazza che avevo notato quella sera d’estate a Sarzana. E’ successo che abbiamo perso la testa tutti e due. E’ stata una avventura di tante cose belle e brutte; brutte poche, belle tante. Lei mi veniva a cercare. Poi tornavo io a cercarla. Per 6 mesi abbiamo girato in lungo e in largo la Toscana; da Pietrasanta a Piombino, Massa marittima, Pescia, Lucca. Lei in corriera, in treno di nascosto dai genitori, raccontando al padre che andava da un’amica. Invece veniva da me, al circo per stare insieme forse un’ora o poco più.

Quando non veniva andavo io con la macchina del circo. Un maggiolino di proprietà del circo Togni che guidavo sempre ma nella processione, in colonna con tutte le altre macchine e carrozzoni. Io non avevo ancora la patente. Avevo la chiave in consegna e appena potevo mi mettevo in macchina per venire a trovare questa mia ragazza di Sarzana. Rischiavo il posto di lavoro e una bella lavata di “cabeza”. Grazie a Dio non mi è mai successo niente. Una volta però mi ferma la polizia stradale. potete immaginare la paura che ho avuto. Senza patente, senza assicurazione. Dentro di me pensavo: “Ora mi arrestano e mi rimandano in Spagna e tutto per una ragazza! Sono finito!”. Ma non fu così per fortuna. Il poliziotto aveva visto lo spettacolo e mi ha riconosciuto! “Ma lei è il domatore del circo Togni!” “Si!”.

Il maggiolino era tappezzato di pubblicità del circo!

Mi hanno lasciato andare con una pacca sulle spalle dicendomi la prossima volta di portare con me i documenti. Gli avevo detto infatti che li avevo lasciati nel carrozzone dove dormivo.

E’ stato un bello spavento così ho deciso che d’ora in poi dovevo fare più attenzione perché tra il lavoro con gli orsi, il pagliaccio, il nuovo numero con i leoncini. Non ero più concentrato.

Avevo una voglia tremenda di vedere questa ragazza. Che fare? Lei era molto dolce e pulita; la sua pelle era profumata di buono. La mia decisione di lasciare il circo era vicina. Anche perché lei era fuggita di casa ed era venuta a stare con me, nella mia carovana nel circo. Gli altri la vedevano come una donna leggera e gli uomini la corteggiavano senza darle tregua. Non era bello. Era una lotta continua per la femmina. E così a Ponte Egola, in Toscana, faccio il mio ultimo spettacolo e abbandono il circo insieme alla mia donna che tremante mi diceva: “Manolo guarda bene quello che fai! Guarda dove andiamo! Sai bene che io sono fuggita di casa e i miei genitori saranno molto preoccupati!”.

Decido di andare a Genova dove avevo qualche amico. Prendiamo il treno a Empoli che passa da Sarzana. Decidiamo di fermarci a salutare i  suoi genitori. Veloci giù dal treno, ci dirigiamo prima dalla sorella in via Terzi, per sentire come l’hanno presa i genitori, specie il papà che è molto rigido e severo. Appena arriviamo a casa della sorella suoniamo il campanello e in quel preciso istante escono di casa i miei due futuri cognati. Stavano andando dai carabinieri per denunciare la scomparsa della sorella. “Tuo padre ti massacra quando ti vede! Non vi rendete conto quanto abbiamo sofferto noialtri qui. Dopo circa un’ora ci avviamo verso la casa dei genitori che erano, nel frattempo, stati avvisati. E’ stato un incontro emozionante di pianti e di sorrisi e abbracci. Suo padre, il mio futuro suocero era un grande uomo! E’ stato gran fedele rosso sempre y per sempre.

Ci perdona e così gli altri, compresa mamma Gina, che era una grande cuoca!

Dato che siamo stati accolti con tanto amore e io vedo la mia ragazza felice a stare con i suoi e con me, io le voglio ancora più bene. Il tempo vola e decidiamo di sposarci perché non potevamo stare sempre insieme. Io dormivo da sua sorella e lei dai suoi genitori. Ci vedevamo solo di giorno e noi volevamo stare sempre insieme. Allora via ci sposiamo. Non facile. Ci vogliono i miei dati personali tradotti in italiano sia per il comune che per la chiesa. Poi volevo che la mia famiglia conoscesse la mia futura sposa. Allora ci mettiamo in marcia. Io, il mio futuro suocero e la mia futura sposa, in macchina. Siamo arrivati dopo 2 lunghi giorni di viaggio. Di nuovo una grande festa. I miei genitori danno l’ok. Dopo una settimana ripartiamo per l’Italia. Un’altra separazione, molti abbracci, molti pianti, ma bisogna farsi forza e andare avanti.

Arrivati in Italia la festa è finita e bisogna aspettare parecchi mesi prima che i documenti siano in regola. Avanti e indietro fra consulenti e consolati. I documenti non arrivano mai. La mia donna mi dice: “Tu non mi vuoi sposare!”. Un tira e molla da matti e intanto noi stavamo insieme solo di giorno. Finalmente arrivano. Tutto in regola e ci sposiamo il 17/2/1965.

Bellissimo giorno! Facciamo il nostro viaggio di nozze ritornando nei posti in cui andavamo nel periodo del circo: Pietrasanta, Viareggio, Follonica, Piombino.

Finito il viaggio di nozze ritorniamo a Sarzana. Problema. Dove andiamo a vivere? I soldi sono quasi finiti. Andiamo a stare in casa dei suoceri. Ora avevo bisogno di un lavoro per vivere e per contribuire alle spese familiari. Provo a trovare lavoro nelle mattonelle.

Primo tentativo a Pietrasanta. Fallito. Sono straniero, non conosco il marmo. Secondo tentativo fare il barman a Sarzana presso un famoso bar del centro che ancora esiste. Nel colloquio molte domande a tema politico. Niente da fare, bocciato. Brutto periodo. Poi trovo grazie a mio suocero. Suo nipote lavorava all’escavazione del fiume Magra. Lo stipendio non è alto ma con molti sacrifici riesco ad andare avanti per un po’ di anni.

Viene al mondo Jeronimo, nostro figlio. Grande cosa per noi ma le spese aumentano e devo cambiare mestiere. Comincio a fare il corriere nella tratta Sarzana – Genova – Pontremoli. Lì guadagno bene ma è dura. Molte ore fuori casa. Non c’è tempo per stare in famiglia. Devo trovare un altro lavoro. Cosa fare? Nel periodo del lavoro di corriere ero sempre molto attratto dal mercato del pesce. Sono sempre stato un amante del pesce fresco e buono.

Mi ritorna in mente quando ero a lavorare al fiume. Tantissimi branchi di pesci lungo tutto il fiume. Così decido di andare a pescare. Mi faccio tutti i permessi per pescare con le nasse,  i palamiti, il razzaglio. Quando pescavo molto riuscivo a volte a venderlo in giro e così riuscivo a guadagnare più che a lavorare. Mi viene l’idea: “Apro una pescheria a Sarzana, così mi vendo il pesce che pesco e quello che mi manca lo compro al mercato di Genova”. Non è stato facile. A Sarzana in quei tempi c’erano tre pescherie. Mi butto ma non per farla, per comprarla. La pescheria più piccola che c’era, in via Mazzini. Gira gira convinco il proprietario a vendermela. Faccio un bel debito in banca e riesco a comprare questa piccola pescheria. Salta fuori che non posso lavorare nella mia pescheria finché non divento italiano. Subito domande di cittadinanza fra consolati da Italia e Spagna documenti tradotti, passa il tempo. La pescheria per fortuna lavorava perché la vecchia proprietaria era rimasta dentro a lavorare. Mi disse “Ti do 6 mesi, dopo basta. Datti da fare, se no mi riprendo la pescheria e non si fa niente.”.

Mia moglie, la ragazza che avevo conosciuto al circo, grandiosa per l’aiuto che mi ha dato e continua a darmi, si prende un esaurimento della madonna. Già soffriva quasi da quando è nata e così peggiora tanto di più. Vi racconto questo che poi continuerò a raccontarvi dopo, perché questo tipo di malattia fa paura a chi ce l’ha e a tutti quelli che gli stanno intorno e non c’è modo di uscire.

Ritornando al negozio, viene fuori che devo fare un corso di formazione per avere il R.E.C.. Devo fare, per lo meno, 6 mesi di scuola a La Spezia presso La Camera di Commercio. Un corso da frequentare 3 volte alla settimana. Lunedì, mercoledì e venerdì pomeriggio. “Sarò promosso? Boh!”. Come fare con il negozio? Io avanti e indietro, la moglie ancora più depressa, una situazione brutta, lottando sempre. Finalmente ricevo il R.E.C.. Dopo ho saputo che me lo hanno rilasciato per la mia costante presenza. Non sono mai mancato un giorno e anche se non ho fatto un buon esame, anche per via della lingua, sono stato promosso dalla commissione per la mia costanza. Grazie anche alla commissione sono riuscito ad andare ancora avanti. Sempre avanti. Compravo i pesci al mercato, ma anche continuavo a pescare. Doppio lavoro. Sono riuscito anche a passare più tempo con la famiglia. Ma nella piccola pescheria in via Mazzini, il margine di guadagno è poco, appena sufficiente; io volevo di più, volevo sempre di più.

Trovo in via Landinelli un fondo e con l’aiuto di un mio amico fruttivendolo incomincio di nuovo a fare debiti con tante cambiali milioni di lire vecchie per fare la nuova pescheria “Pescheria Manuel”. Così dopo mesi di lotta finalmente faccio la inaugurazione di questo negozio che per mia fortuna è stato un grande successo. Tanto che in meno di un anno pago tutte le cambiali che avevo fatto. L’anno seguente compro un appartamento nostro, dove abitare. Torno a fare un grosso debito bancario. Che forse era meglio non averlo fatto. La cifra è molto alta da pagare al mese per tanti anni. Sempre avanti, anno dopo anno. La mia cara moglie fa più ore che l’orologio, anche avendo una depressione imponente. Anche le cure costano molto e non hanno nessun effetto. Nonostante si guadagni bene, ci sono sempre più spese. Le macchine per trasportare il pesce, assicurazioni, le vacanze, l’affitto del locale, le tasse, troppe.  Ma va bene pago e pago ma riesco anche a risparmiare anno dopo anno tanti soldi e sembra ci sia riuscito a trovare un po’ di tranquillità. Anche se la mia grande moglie non riesce a uscire dal tunnel della depressione anche se continua a fare una cura dopo l’altra. Continuava a lavorare ma andava sempre peggio. Io pensavo che fosse colpa mia che la facevo lavorare troppo. D’altra parte avevo molti impegni. Dovevo servire tanti ristoranti avanti e indietro, lei invece in negozio per servire i nostri clienti. E’ arrivato un giorno che dico a mia moglie: “Piantala! Rilassati!” E lei: “E in pescheria chi ci sta? Te sei sempre avanti e indietro e tocca tutto a me!”. Penso che è vero e mi sento in colpa e intanto la sua depressione peggiora.

Così penso a una nuova avventura: “Fare un allevamento di pesce! Così vendo la pescheria e mi dedico all’allevamento. La mia dolce moglie rimane finalmente nella sua casa e forse guarisce dal suo male!”.

Arriva la lettera per nostro figlio. Deve partire per fare il militare. Un brutto colpo per noi, specialmente per sua madre. La malattia peggiora sempre di più. Intanto io sto facendo delle ricerche per capire come far crescere questo pesce. Comincio a Orbetello, poi Ancona, in Francia, in Spagna, spendendo parecchio. La moglie mi dice: “Cosa fai? Fermati! Vedi di non far fare il militare a nostro figlio, piuttosto!”. Rallento un po’ e mi informo su come fare per evitare la partenza. Niente da fare. Deve partire per il CAR. Non c’è modo che lui non parta. La madre è disperata. E anche io vedendo lei. Tutti hanno fatto il militare, non c’è niente di male. Lei era ridotta uno straccio. Io incomincio a traballare. Non sono più sicuro che ne valga la pena. Forse la verità è che non abbiamo mai la pace dentro noi stessi.

Dopo la partenza di Jeronimo mi faccio coraggio e riparto con il negozio e le ricerche per l’allevamento, ma sto spendendo troppo. Mi rendo conto che non riesco a realizzare l’allevamento. Cosa fare per recuperare i tanti soldi che avevo già speso? Dentro di me una grande paura o scemenza, non so, non l’ho ancora capito. In quei momenti, giorni e mesi sono finito in un pozzo profondissimo. Lì ho avuto l’idea di provare a risolvere i miei problemi con i cavalli. Volevo fare una grossa vincita per rimettermi in pari. Non lo avessi mai fatto. All’inizio ho vinto parecchio, poi ho perso e di nuovo ho vinto. Poi dai e dai ho perso tutto quello che avevo risparmiato, una cifra da parecchi zeri. Soldi che aveva guadagnato anche mia moglie con il suo sudore.

Pensavo di farlo per la mia famiglia. Maledetto gioco.

Lo so, sono stato un irresponsabile.

Il negozio continua a lavorare ma io sono a pezzi. Ho tante spese. Le assicurazioni da pagare. Una per l’incendio e furto, un’altra per la sicurezza dei clienti, nel caso scivolassero sul pavimento, tutti i mezzi assicurati con la polizza Kasco. Con tutte le ore che facevo in macchina dovevo essere assicurato. Avevo altre 4 polizze personali. 2 per infortunio e 2 per avere un giorno un po’ di pensione in più. Sommando tutte le assicurazioni insieme veniva fuori una bella cifra, in caso morte naturale o presunta (da notare che le spese per le assicurazioni si potevano scaricare dalle tasse, ed erano tanti soldi).

E ora incomincia la parte bruttissima. Vi racconto la cosa peggiore che ho combinato nella mia vita. Un irresponsabile, un incosciente, un c … Ho perso la lucidità. Ecco il piano che ho escogitato.

Ero arrivato quasi al punto di uccidermi per la vergogna di avere perso tutto, ma non l’ho fatto perché sarebbe stato da vigliacco nei confronti della mia famiglia. Non sono stato capace di farlo. Perso per perso mi sono detto: “Sono assicurato per molto e se faccio una morte sospetta …”. Devo fare una pausa, non riesco a scrivere la fesseria che ho combinato, non trovo le parole, mi devo fermare un momento.

Prendo fiato.

Ecco. Ci penso e ci ripenso e decido. Lo faccio, così.

Sparisco dal mondo e i miei incassano l’assicurazione per morte presunta. Io fesso, lo avevo letto sulle polizze che dopo 6 mesi in cui si era ritenuti morti le assicurazioni pagavano i familiari. Imbecille che sono stato e mi dovete perdonare per la mia stupidità di quei giorni.

Metto in moto il piano. Cosa fare, come fare? Racimolo un po’ di soldi. Mi procuro un documento e do fuoco alla mia macchina lungo il viale di Marinella a Sarzana. Prendo il treno fino a Genova. Arrivo che sono già distrutto: “Che sto facendo?”, mi mancava già la famiglia. Piangendo a più non posso prendo il treno per Parigi. Sono in un caos totale. Vado all’aeroporto. “Vado in Spagna dai miei genitori?”, “No, se vado li mi trovano subito”. Allora decido di prendere il primo volo in partenza. Decido: “Mi prenoto sulla linea Iberia in partenza tra 8 minuti destinazione Buenos Aires”. Stavo talmente male che avrei preso il veleno. Ero pazzo di dolore. Arrivo a Buenos Aires; è una città immensa come il dolore che ho dentro. Per il viaggio ho già speso la metà dei soldi che avevo. Disperazione totale, lontano dai miei senza sapere come staranno. Mio figlio a fare il militare, mia moglie abbandonata da sola con la sua malattia. Penso di chiamare ma poi non lo faccio. Penso ancora di morire, ma poi rinuncio ancora.

Respiro, respiro, respiro e poi penso: “6 mesi, devo aspettare 6 mesi e loro potranno riscuotere la polizza!”.

A Buenos Aires non sto bene anche se vivere li costa poco. Con 150/200 dollari al mese vai avanti, ma questo non era vivere. In un paese straniero, lontano dai miei, senza amici, senza documenti validi. Faccio i conti di quanti soldi mi servono per resistere 5 mesi con la speranza di riscuotere l’assicurazione. Giorno dopo giorno capisco che mi sto ammalando, non riesco a respirare, non posso mangiare perché non riesco a inghiottire, ho delle crisi di panico. A volte mentre sono in camera dell’hotel devo correre fuori in cortile perché mi manca l’aria. Non ho neanche il tempo di cambiarmi e mi ritrovo in strada come uno straccione sporco e sudato. Resisto ancora ma sto sempre peggio. Sono passati 5 mesi ma ora devo andare a curarmi davvero. Vado da una dottoressa brasiliana ma cresciuta in Italia, molto saggia e buona che dopo parecchie visite mi dice: “Manolo, tu non sei malato! Mi hai detto che sei qui in vacanza per rilassarti ma non è vero. Tu nascondi qualcosa e quello che nascondi deve essere molto brutto. Dimmi per piacere quello che ti è successo e poi vedrai che guarisci!”. Mancava poco per arrivare ai 6 mesi ma crollo e le racconto tutto quello che ho combinato. Dalla partenza dall’Italia con un documento non mio. Lei mi dice che aveva visto che non ero io sul documento. Le ho detto dei soldi persi al gioco. Le ho detto che ho abbandonato una moglie e un figlio, che ho dato fuoco alla macchina per far finta di essere morto. Le ho detto dell’assicurazione che speravo che i miei incassassero. Avrebbero ripagato tutti i debiti e loro mi avrebbero perdonato.

La dottoressa mi dice che le sembra già che io stia un po’ meglio. “Ora chiami i suoi cari e dica loro che è vivo. E non faccia più colpi di testa, perché guardi che la assicurazione non paga e se dovesse pagare lo farà solo dopo molti anni. A volte lavoro come perito per questo tipi di casi. Mi ascolti, per ora lei con la giustizia non ha niente a che dire. Ma se pretende di ingannare l’assicurazione, sono guai seri. Dovrebbe farsi la chirurgia plastica alla faccia e alle impronte digitali e sparire dal mondo. E per cosa? Per soldi. Ma lasci perdere per l’amor del cielo, ritorni dai suoi. Li chiami subito. Perché da quello che mi ha detto potrebbero essere messi molto male, forse anche peggio di lei!”.

E così chiamo mia moglie e mio figlio. Subito riesco a respirare meglio. “Amore mio dove sei, cosa hai fatto?”, mi dice mia moglie. “Prendo un aereo e ti raggiungo subito!”. Sono già ad aspettarla all’aeroporto di Buenos Aires. Finalmente la vedo arrivare, molto magra. Ha l’aria molto esaurita, ma per me è sempre più bella. Una gioia immensa abbracciarsi e stringersi, ma con tanto dolore per quello che avevo fatto. Non riuscivo a dire niente solo a piangere. Poi trovo la forza di spiegarle tutto. Lei mi perdona perché il nostro grande amore va oltre tutte le sofferenze che ho causato. Decidiamo di rimanere in Argentina ma ci trasferiamo più a sud, a Mar de Plata. E’ una zona molto pescosa e la convinco che là riuscirò a trovare un buon lavoro. Forse riuscirò a far una esportazione di pesce da qui a La Spezia e a guadagnare tanto da poter tornare di nuovo nel  paese più bello del mondo: L’Italia. Così mia moglie mi racconta la vita che ha fatto nei mesi scorsi a Sarzana. Ha smosso mare e monti per farsi mandare a casa Marco dal militare. Quando nostro figlio è tornato a casa ha chiesto dove era il suo papà. Nessuno gli diceva niente, nessuno sapeva e lui era disperato fino quasi a cercarsi la morte. Molte persone sono venute alla pescheria chiedendo di essere pagati, le banche reclamando il loro credito, finanziarie, ecc. Insomma una disperazione da impazzire.  Poi mia moglie torna in Italia per vendere la pescheria. La banca ci sequestra la casa.

Finalmente tornano tutti e due da me ma la situazione non è bella. Tanti giri a vuoto, tante sofferenze, tante preoccupazioni e umiliazioni, non si può stare bene anche se stiamo insieme.

Per fare il lavoro d’importazione devo prendere la cittadinanza argentina.

Nostro figlio non sta tanto bene, torna in Italia da solo, dalla nonna. Ha nostalgia della sua Sarzana.

Cerco lavoro e intanto vado avanti e indietro per fare le ricerche necessarie a fare il lavoro dell’ import-export di pesce. La mia dolce moglie rimane molto tempo sola; per fargli compagnia le regalo una piccola cagnolina pechinese di nome Pussina, molto dolce che le faceva molta compagnia e anche la guardia. Appena sentiva un rumore abbaiava alla grande. Succede che un giorno torniamo a casa e la troviamo svaligiata. I vicini non hanno visto niente ma ci dicono di non preoccuparci che lo fanno una volta sola e poi mai più. Passano un po’ di mesi e un giorno vado al porto per procurarmi dei permessi, lasciando mia moglie sola in casa con la cagnolina, che questa volta non abbaia. Sono venuti un’altra volta a rubare. Dopo 5 ore torno a casa e trovo il disastro. La casa svaligiata, lo zucchero e la farina per terra, mia moglie chiusa in bagno con un bavaglio sulla bocca svenuta. La cagnolina chiusa in soffitta. Io sono sconvolto. Presto i primi soccorsi a mia moglie che si riprende e mi racconta quello che è successo: “Ero in mansarda con la cagnolina a scrivere a nostro figlio e mi sento presa per i capelli e la pistola alla nuca. Mi hanno trascinata giù per le scale e chiusa in bagno. Ho sentito tanti rumori, pianto tanto e tanto chiamato la Pussina, ma lei non mi rispondeva e ho pensato che l’avevano uccisa. Mi mancava il respiro e sono svenuta”. Mentre scrivo queste cose sono in un bagno di sudore e sto male.

Mi devo fermare un momento.

Purtroppo i ladri portano via anche una piccola somma in contanti, derivata dalla vendita del negozio in Italia che lei aveva portato e che tenevo per pagare la prima spedizione di pesce in Italia. Questi insieme a alcuni gioielli di mia moglie erano i nostri unici averi. Eravamo in mutande. Mia moglie crolla e viene presa da una paura tremenda. Io avevo una pistola, dato che in Argentina è facile comprarle, basta avere il passaporto. Tento di spararmi in bocca dalla rabbia, dalla sensazione di impotenza, vedendo mia moglie in un tale stato di confusione e paura. Riesce a dirmi: “Cosa fai? Come faccio io qui da sola se tu ti ammazzi?”. Mi calmo un po’ e dato che tutto questo è colpa mia perché vado di sbaglio in sbaglio, mi faccio forza e vado avanti un’altra volta. Andiamo a fare la denuncia a Mar de Plata. Ci dicono che non possono fare niente se non ci sono delle prove. Mia moglie dice di aver riconosciuto la persona che le ha puntato la pistola. Ci dicono che se abbiamo riconosciuto l’aggressore era meglio farlo fuori e buttarlo in mare, ma meglio non ferirlo e basta, altrimenti erano guai. A nostro figlio non abbiamo detto niente per non farlo preoccupare. Stringo i denti e vado al porto. Spiego la situazione e chiedo di poter pagare i pesci dopo la consegna in Italia. Niente da fare: “Niente soldi, niente pesce!”. Fregato completamente. Sono passati circa 20 mesi in questa situazione, un inferno da far andare per traverso quello che si mangiava. Mia moglie di nuovo a terra per la depressione. Non ci rimangono neanche i soldi per tornare in Italia. Così la sorella di mia moglie ci spedisce il biglietto aereo per tornare a Sarzana, perché qui è tutto finito. Una famiglia ci aveva offerto una sistemazione, ma non era una bella situazione e così siamo tornati.

Arriviamo in Italia tanto amareggiati. Io specialmente mi sentivo soffocare per quello che avevo fatto. Per colpa del gioco. Chi me l’ha fatto fare? Ero maggiorenne e vaccinato. Forse sono stato un ingenuo, un ignorante. Ero talmente preso dal mio lavoro che veramente facevo con passione. Tante ore in movimento per portare del buon pesce a Sarzana. Viareggio, Spezia, Piombino, Livorno, Genova, Savona. Facevo più ore dell’orologio. Gamberoni, branzini, orate, sogliole, polpi, astici, aragoste, mormore, ricciole, ombrine, lumache, rane, anguille e capitoni per i miei amici sarzanesi.

Avrei voluto fare un allevamento per ripopolare le nostre coste di Marinella, di Lerici, di Marina di Carrara. E anche la caccia; perché questi allevamenti attirano molti uccelli. E non danneggia, né inquina niente anzi da valore e ossigenazione a tutta la vallata. Un depuratore potrebbe purificare l’acqua salmastra in entrata e un altro potrebbe purificare l’acqua in uscita, che potrebbe servire come concime nutriente per un bosco di pioppi.

Torno alla realtà, cioè al buon pesce che portavo a Sarzana.

Per prima cosa sono andato dalle autorità per sapere se avevo qualche pendenza con la giustizia. Un comandante saggio mi dice: “Manolo vada a lavorare e non faccia come gli zingari! Faccia l’uomo per bene, perché un uomo serio non fa quello che ha fatto lei! Per la legge, per sua fortuna, non ha fatto niente di grave. Vada a lavorare e arrivederci Manuel!”. “Grazie comandante!”. “Se ne vada” mi disse dandomi una pacca sulle spalle “e non sbagli più!”.

Un po’ più sereno incomincio a fare il contadino dove non si guadagna abbastanza, ma non avevo i soldi per fare altro. Dopo un po’, un vecchio amico mi chiede di aprire una pescheria con lui. Mi aiuta ad aprirla senza soldi. Avevo in tasca 14 mila lire. Devo pagare muratore, frigo, luci, permessi. In due mesi dall’apertura si lavora abbastanza bene, ma ho dei vecchi debiti e bisogna che guadagno di più per pagare tutti. Apro contemporaneamente un’altra pescheria a Carrara insieme a un altro amico. Ma dopo poco tempo comincio a non guadagnare in nessuna delle due. Così cedo tutto e sono di nuovo a terra. Viene un altro amico di Lerici e mi convince a tentare un’altra volta.

Mettiamo una pescheria in un super mercato a Spezia.

Si lavora bene! Il primo mese ci prendiamo un bello stipendio! Il secondo mese devo aspettare. Ci sono le spese! Al terzo mese, il mio amico mi dice: “Manolo diventa l’amministratore unico, così maneggi tu tutti i soldi!”. “No, si, no, si”, ci casco in pieno e divento l’amministratore unico. Sopporto e cerco di rimediare, ma niente da fare, anzi va anche peggio perché per rimediare faccio altri assegni. Mollo come amministratore unico, ma troppo tardi. Devo firmare anche per la vendita della pescheria per parecchi milioni di vecchie lire.

Così vado nei guai per bancarotta fraudolenta, sono il solito fesso!

Ho firmato tutto con la speranza di far valere poi le mie ragioni con un avvocato. Niente da fare, non ho ripreso una lira.

E così mi ritrovo a fare il panettiere e a consegnare il pane nei supermercati. Ma dura poco perché il proprietario del forno chiude bottega.

Prendo una pescheria in affitto a La Spezia in viale Italia. Ci lavoriamo io e mia moglie. Va benino, ma vengono fuori i vecchi creditori che non avevo ancora finito di pagare. L’affitto è alto, resisto 10 mesi. Continuo a pagare e pagare e non vedo la fine. Sto invecchiando e se cedo l’attività non mi rimane niente.

Di nuovo senza lavoro, ricomincio a girare. Trovo il modo di aprire l’ennesima pescheria, questa volta a Marina di Carrara. Ci lavoriamo io, mia moglie e anche mio figlio. Anche questa volta non funziona. Per la prima volta mia moglie mi dice che non ce la fa più, che ha toccato il fondo “O te ne vai tu di casa o me ne vado io!”. Cerco di parlarle, ma è tutto inutile. Così dopo 40 anni di vita insieme, ci allontaniamo uno dall’altra.

Parto per la Spagna, vado dai miei genitori. Nonostante la separazione continuavamo comunque a sentirci di tanto in tanto. Lei andava avanti con la pensione e nostro figlio lavorava con la vetroresina. Io lavoro nella ristorazione e guadagno appena per vivere. Dopo 4 anni di questa vita ho fatto pace con mia moglie e lei comincia a venirmi a trovare in Spagna. i miei genitori vanno in cielo uno dopo l’altro. Prima la mamma e dopo il papà. Mia moglie si trasferisce a vivere con me in Spagna. Non paghiamo l’affitto e tra il mio lavoro e la sua pensione riusciamo a tirare avanti per un po’ e possiamo anche aiutare un po’ nostro figlio in Italia.

Io sono fuori tutti i giorni tutto il giorno e mia moglie a casa da sola. La sua depressione peggiora. La ricoverano in ospedale ma non riescono a curarla. Per essere meno sola viene a trovarmi a Madrid dove lavoro, ma viene rapinata due volte. I genitori sono morti, coi fratelli non si va molto d’accordo. Che fare? Torniamo a Sarzana. Arriviamo a Ventimiglia e trovo una brutta sorpresa. C’è la Guardia di Finanza che mi aspetta! “Merino lei è in arresto, non si agiti, stia calmo, altrimenti le mettiamo le manette ai polsi!”. Sono in arresto per bancarotta fraudolenta. Mi dicono che sanno che sono una buona persona e che ho un mese di tempo per fare ricorso con un avvocato e per ora mi chiedono solo di seguirli al comando di Ventimiglia. Mamma mia che situazione! Mi hanno letto i miei diritti e dopo 7 ore circa mi hanno accompagnato alla stazione ferroviaria. Cari lettori mi è cascato il mondo sopra la testa. Ho firmato si degli assegni e poi anche la vendita della pescheria, ma a me non è venuto in tasca niente, neanche tre mesi di stipendio. Prendo l’avvocato che mi dice: “Non si preoccupi, lei è incensurato, non le faranno niente!”. L’avvocato mi costa un milione e io vengo condannato a 48 giorni di carcere e due anni di arresti domiciliari e per dieci anni sospeso dalla possibilità di lavorare nel commercio. Ho dovuto scontare la mia pena. Una sofferenza disumana che non auguro a nessuno.

Ecco la mia verità è quasi finita. Sono passati gli anni della mia ingenuità, della mia bontà,  delle mani bucate e sono passati i dieci anni di esclusione dalla vita sociale a cui mi avevano condannato. Da oggi potrei iniziare di nuovo a fare qualcosa, ma forse è troppo tardi. Sono troppo vecchio anche se dentro di me ho ancora tanta voglia di creare cose nuove, nuove idee e che il Signore mi aiuti a non sbagliare più.

Questo libro è dedicato a mia moglie, mio figlio, a tutte le mie amiche e ai miei amici. Per me significano quanto di più importante c’è nella vita. Amare ed essere amati.

Grazie.

Manolo